Ancona. Storia narrativa della città

Autore Ercole Sori, Bookstones Edizioni, Rimini 2017

Locandina Sori Ancona Ok

Nel 1992 usciva Ancona contemporanea (1860-1940), libro in cui Ercole Sori e Mario Ciani ricostruivano con generosa ampiezza le vicende del capoluogo marchigiano dalla nascita del Regno d’Italia alla seconda guerra mondiale. Sori torna a trattare ora quei temi in un’opera divisa in quattro volumi che, se conferma la scelta originaria di arrestarsi alla soglia del conflitto, muove stavolta dalla prima guerra d’indipendenza, o meglio dai moti quarantotteschi che la accompagnarono.

Le novità non si arrestano qui. Il restyling del lavoro del 1992 passa anche da un ricco aggiornamento bibliografico e dalla decisione di percorrere la strada del digitale, offrendo l’opera in formato e-book che, se priva il lettore della dolce materialità della carta, garantisce una più agevole diffusione e la possibilità di praticare un prezzo contenuto (4,99 euro a tomo, Bookstones Edizioni).

Nuovo è anche il titolo – Ancona. Storia narrativa della città – cui si aggiunge, volume per volume, il periodo di riferimento (1848-1870, 1870-1900, 1900-1922, 1922-1940). Si tratta di un titolo parzialmente ingannevole che induce a sottostimare la portata scientifica dell’opera. In questa c’è molto racconto, certo, ma c’è anche una straordinaria profondità di analisi, che si apprezza sia per il largo spettro degli argomenti affrontati (società, politica, amministrazione, demografia, urbanistica, economia), sia per il sapiente uso delle fonti. Tra queste ultime spicca, per gli anni a cavallo tra il XIX e il XX secolo, il “Lucifero”. Le sue colonne – insieme a quelle del quotidiano conservatore “L’Ordine” (poi “Corriere adriatico”) – regalano informazioni sulla vita della città, aprendosi non di rado a spigolature che Sori recupera e introduce nel suo discorso, un po’ per sottolineare, da antropologo, alcuni costumi degli anconitani, un po’ per ironizzare sui loro tic. Il “Lucifero” è assunto, però, anche come oggetto di studio, poiché espressione di una componente di grande rilievo nel panorama politico locale.

Tirando le somme, a emergere è il profilo di una città che tra Otto e Novecento alterna slanci in avanti e retrocessioni, turbolenze e amore per lo statu quo, ambizioni e amnesie. Riposto nel cassetto in tutta fretta il sogno di tornare a essere Porta d’Oriente così come era stata fra medioevo ed età moderna, Ancona diventa culla di travet pubblici e militari, i quali si aggiungono ai mercanti e ai sensali che gravitano intorno al porto. Ai commerci e alle connesse attività finanziarie, per lo più gestite dalla vivace comunità ebraica, si affiancano opifici dalla scala dimensionale quasi mai apprezzabile e scarsamente moderni. I casi rappresentati dall’impresa Jona, che realizza mattonelle di carbone, e dal cantiere navale, peraltro sonnecchiante fino all’ultimo vagito del XIX secolo, sono eccezioni incapaci di modificare un quadro produttivo a tinte tenui.

Tutt’altro che tenui sono invece le tinte politiche di una città che, a dispetto della sua lateralità geografica ed economica, si scopre teatro di alcune fra le più note sollevazioni popolari della storia nazionale. Così è per i moti di fine secolo (1898), la Settimana rossa (1914) e la Rivolta dei bersaglieri (1920). Le scintille da cui questi incendi divampano sono spesso determinate da circostanze fortuite, ma ad ardere è legna stagionata e abbondante, che affonda le sue radici in un sovversivismo di lungo corso. I repubblicani, i socialisti e più ancora gli anarchici alimentano un fuoco la cui vitalità deve tanto, ma non tutto, alla plurima presenza di Errico Malatesta ad Ancona.

Mentre le agitazioni montano per poi ripiegare su se stesse, soffocate dalla propria incapacità di autoalimentarsi più che dalla repressione governativa, la città cresce sul piano demografico e, sebbene con grande fatica, anche su quello urbanistico. Il porto cessa via via di essere il fulcro intorno al quale si esaurisce l’abitato. I nuovi ceti, tanto quelli medi, quanto quelli popolari, invocano spazi e servizi che progetti spesso pretenziosi illudono di garantire. Tuttavia, lentamente, i confini di Ancona cambiano e sfondano una volta per tutte l’antica cinta muraria. A ciò si abbina, nel periodo fra le due guerre mondiali, il nuovo corso architettonico ispirato al razionalismo fascista, da cui prendono origine opere pubbliche che contribuiscono a ridisegnare la città e a consegnarla così come, per larga parte, possiamo oggi osservarla.

 

Roberto Giulianelli

Professore di Storia economica all’Università Politecnica delle Marche