WEBINAR “ LA REPUBBLICA ROMANA: UNA STORIA DI STRAORDINARIA E STRUGGENTE BELLEZZA”

Intervento di Iperide Ippoliti – UIL Università e Ricerca e Sez. AMI ANCONA

Sere fa, discutendo di questa iniziativa con un colto  mio ex- compagno di Liceo, di grande fede cattolico-popolare, sono stato colpito da un suo lapidario commento: “ la Repubblica Romana è stata un esperienza ed un processo troppo “anticipato” ed “anticipatore” per garantire al moto risorgimentale gli sbocchi istituzionali  che Mazzini auspicava”.

Credo che tra la gente,  anche mediamente colta,  questa possa essere un’ opinione più che diffusa.  Diffusa ma non giustificata. Se non dalla conoscenza sempre più scarsa e superficiale della “memoria storica” del cittadino-medio,  dal pregiudizio politico, e perché no? dalle carenze vistose del nostro sistema educativo.

Sarebbe molto utile tornare a riflettere su una lunga storia politica italiana che dal 1° al 2° Risorgimento ed nel corso della vita stessa della nostra Repubblica che ha visto  i maggiori interpreti della nostra tradizione risorgimentale e repubblicana finire quasi sempre per essere tanto “mal digeriti precursori” quanto  interpreti largamente inascoltati di processi e tendenze che però, magari  dopo molti lunghi,  anni hanno condotto a  conquiste fondamentali e durevoli.

Citando (e non certo in senso assolutorio per la tradizione e le responsabilità della laicità del nostro Paese) l’ aforisma di un vecchio Presidente della Repubblica potremmo dire che: anche questo   è “il destino cinico e baro” riservato  alle minoranze critiche!

Venendo più direttamente al tema di oggi:  fu davvero così per l’idea mazziniana di Roma e soprattutto per l’esperienza storica concreta della Repubblica Romana del ’49? E soprattutto, possiamo annoverare il ruolo svolto direttamente da Mazzini in quegli avvenimenti nelle categorie del “sogno” e dell’ “astrazione” politica ed ideale?.

Penso che ciò sarebbe, anche storiograficamente, quanto meno ingeneroso.

Se ci riferiamo al tempo ed ai costi pagati dal popolo italiano per arrivare 20 dopo – sempre sotto la monarchia sabauda e con il favore di modificazioni intervenute in quel di Francia –  ad “annettere” Roma all’ Italia; altri 50 anni per completare gli assetti unitari della nazione; altri 30 per arrivare alla Repubblica; altri 50 per arrivare ad una, prima seppur insufficiente, prefigurazione di assetti europei;  se ci riferiamo a questo troppo lungo cammino allora la visione mazziniana è stata più che anticipatrice,  direi addirittura quasi “divinatoria” e “profetica”.

Ma allora, come tale ancora più degna di studio e di approfondimento, e non di sottovalutazione storiografica e politica!

Dunque, con piena aderenza ai fatti –  tanto dal punto di vista dell’ esperienza “insurrezionale”  così come sul piano della prefigurazione di modelli costituzionale ed istituzionali – il moto romano del ‘49 e soprattutto il ruolo svolto in essa da Mazzini – certo mirabilmente “precursori” – sono stati tutt’altro che “fughe in avanti” rispetto allo stesso contesto storico dell’epoca. Tanto meno proposizioni ed esperienze  da confinare in una sorta di narrazione simbolica, teoretica e letteraria.

La spinta che veniva dei moti rivoluzionari del ’48, tanto nel contesto europeo (pensiamo innanzitutto alla Francia) ed in quello nazionale,  era stata connotata, molto più che nelle esperienze del decennio-quindicennio precedenti, da una fortissima partecipazione ed iniziativa popolare dal basso.

Ricorda un noto “divulgatore”,  a me caro,  come nella difesa della Lombardia e di Milano dopo la disfatta di Custoza di fine luglio ’48 “ Mazzini stesso indossò la divisa di soldato semplice della legione , imbracciò la carabina inglese dono della famiglia Ashurst e raggiunse Garibaldi a Bergamo, sicuro che solo il popolo ed i volontari avrebbero potuto salvare Milano perché sui fiacchi piemontesi era meglio non contare”.

Dunque non solo e non tanto “rivolgimenti del pensiero” e delle idee. Piuttosto “Azione”  concreta che  era doveroso sostenere, alimentare, interpretare, indirizzare e guidare verso gli obiettivi primari di Mazzini: Unità,  Indipendenza e Repubblica.

Obiettivi e movimento che non avrebbero potuto  avere – come invece qualcuno tentava di proporre –   nel “moderatismo conservatore” né un loro interprete né, tanto meno,  il  ruolo di “forza motrice” di vera democrazia.

A proposito della stringente tentazione di una “guida moderata”  nella lettera del gennaio 1848 al  Presidente del Consiglio Guizot – in quella Francia cui il genovese sempre guardava e che  nel febbraio dello stesso anno transiterà alla 2° Repubblica –  Mazzini  così si esprimeva: “…..  Le  opinioni teoretiche del Gioberti…..sarebbero rimaste nel regno dell’ astrazione se gli uomini d’azione non se ne fossero impadroniti. Ed i più di questi non uscivano dalle classi liberali, rimasti fino ad allora passivi, ma furono gli stessi che parteciparono alla Giovine Italia quando alla redenzione nazionale non fosse aperta altra via. Il passaggio dall’ antica alla nuova formula di movimento consisteva nell’ azione “aperta” sostituita all’ azione segretata, nella formula dimostrazione sostituita alla formula cospirazione. Ed era naturale che le anime più entusiaste prendessero l’ iniziativa di questa formula di pubblicità…”

In queste parole c’era qualcosa di più del passaggio dall’ azione cospiratrice e carbonara all’azione apertamente insurrezionale. C’era la volontà di accompagnare con le sollevazioni nei territori più importanti (da Brescia a Milano, da Roma e da tutto lo Stato pontificio a Venezia) il complesso unitario del movimento insurrezionale della Penisola.

Cattaneo diceva: “Le rivoluzioni avvengono, non si fanno”. Non era così per Mazzini.

Nelle pur amarissime riflessioni del 1844 seguite  al martirio nel Vallone di Rovito di Attilio ed Emilio Bandiera cosi, infatti,  Mazzini aveva scritto “…..le insurrezioni non si faranno ne ora ne mai in Italia per fusione, come dicono, di elementi eterogenei tendenti ognuno a diverso fine ma uniti per rovesciare; nè per sviluppo di vasti disegni lungamente premeditati a far sollevazioni simultanee in più parti ed in un’ora prestabilita perché i governi ne avranno un infallibilmente sentore e potranno sempre impedire… Si fanno le insurrezioni per far che nascano le virtù. Un popolo che fosse virtuoso davvero non avrebbe mai bisogno di insurrezione perché non sarebbe mai schiavo; ………L’ insurrezione in Italia si avrà quando uomini vogliosi di agire credenti in un patto, intesi sui modi e sul fine, serrati ad unità di falange si prevarranno d’un fermento nato spontaneo o creato…..”.

Che le condizioni nel 1849, dopo la fuga di Pio IX a Gaeta nel novembre ’48,  potessero sembrare , e fossero in effetti, mature nel contesto romano –  sicuramente di più di quanto lo fossero state nel contesto del dolorosissimo martirio di Attilo ed Emilio Bandiera, è sicuramente dimostrato  e confermato innanzitutto proprio dalla  vasta e larga partecipazione popolare.

Ricordo che questo fenomeno, assolutamente spontaneo e solo in parte “indotto”, si manifestò soprattutto nella complessa ed innovativa preparazione del voto (a suffragio universale (maschile)) dei 200 rappresentanti nella Assemblea Costituente i cui lavori furono inaugurati il 5 febbraio del ’49.

Marco Severini nel suo libro del 2011,  frutto di una lunghissima ricerca storica sulla Repubblica Romana, fornisce una analisi dettagliatissima ed utilissima alla comprensione di quegli avvenimenti,  che coinvolsero strati molto vasti della popolazione di tutti i censi e di tutte le classi sociali.

Già Giovanni Conti aveva ricordato come “la lotta fu ardentissima; il concorso degli elettori numeroso. A Roma che contava 180 mila abitanti su 35 mila elettori ne votarono 25 mila. Qui la lotta fu burrascosa poiché la Capitale era travagliata da partiti e da ambizioni personali. All’ indomani delle elezioni in Roma e nelle province si diffuse il più grande entusiasmo per la Repubblica” .

E Mazzini, come sappiamo, fu chiamato solo in una fase immediatamente successiva alla proclamazione della Repubblica ed elezione della Costituente.

Egli aveva ritrovato, con la fuga di Pio IX , un rinnovato entusiasmo e speranze dopo le delusioni del ’48.

Tanto la monarchia come il papato avevano perso gran parte del loro potere attrattivo sugli strati popolari.

Da Marsiglia Mazzini si imbarca per Livorno dove giunge, accolto con grande calore, l’ 8 febbraio del ’49, mentre il duca Leopoldo II fuggiva da Firenze per una “vacanza” all’ Argentario.

Mazzini solo il 18 febbraio partì per Roma e passò per Firenze dove presenziò a varie assemblee e dove dovette combattere, in verità senza successo una vera e propria “battaglia” con il Guerrazzi per fare accettare, almeno nominalmente, un programma repubblicano.

A Roma Egli giunse solo il 5 marzo  trovando una città devastata socialmente, economicamente, civilmente.

Che  per Mazzini, come per tutti i democratici e mazziniani,  la sollevazione del popolo romano ed i conseguenti assetti ed esperienze potessero fungere da spinta, da modello, da impulso indispensabile per tutte le forze democratiche questo è  fuori da ogni dubbio.

Non dimentichiamo, da questo punto di vista, la centralità  che la stessa “romantica” di  Mazzini aveva sempre attribuito  a Roma: “ Dalla Roma dei Cesari uscì l’unità di incivilimento comandata dalla Forza all’ Europa. Dalla Roma dei Papi uscì l’incivilimento l’unità di incivilimento, comandata dall’ Autorità, a gran parte del genere umano. Dalla Roma del Popolo uscirà, quando voi sarete, o Italiani migliori che oggi non siete, Unità d’incivilimento accettata dal libero consenso dei popoli, all’ Umanità”:

Mazzini non poteva non alimentare e non guidare un tale movimento popolare – che vedeva peraltro impegnati alcuni tra le massime figure del Risorgimento repubblicano (da Pisacane a Mameli, da Garibaldi al “Ciceruacchio” Angelo Brunetti ) – in primo luogo per l’importanza che esso avrebbe potuto e dovuto assumere in primo luogo nell’ obiettivo di un allentamento del giogo austriaco e straniero e nella lotta per l’ Indipendenza e per l’Unità.

Per dirla con una metafora: Mazzini non  abbisognava certo di lezioni  di geopolitica da  un “Limes” del suo tempo per rendersi conto, con piena aderenza al reale, quanto influsso sulla vicenda romana,e dunque sulle sorti della Repubblica, avrebbero finito per avere i rapporti internazionali ( e soprattutto l’ingerenza francese ed austriaca sollecitata costantemente dal Mastai Ferretti).

E Mazzini era altrettanto pienamente consapevole delle conseguenze pratiche, ma anche del grande significato “geo-politico” che la sollevazione romana ed italiana avrebbe potuto avere per anticipare un più vasto processo di realizzazione di nuove “sovranità” popolari e nazionali. Un processo che avrebbe invece  dovuto attendere ancora qualche decennio per affermarsi più compiutamente. “ Senza riconoscimento di nazionalità liberamente e spontaneamente costituite, non avremo mai gli Stati Uniti di Europa” scriveva Mazzini.

Pertanto saremmo portati a dire che se un eccesso di visione “anticipatrice”  ci sia stato questo fu più dal lato della  elaborazione del modello istituzionale e costituzionale che dal lato della gestione politico-operativa della insurrezione. E ricordiamo anche che lo sforzo di elaborazione “costituzionale”, in Mazzini avrebbe dovuto essere un tutt’ uno inscindibile con il valore morale ed educativo della rivoluzione democratica, un tutt’uno con la risoluzione  della “questione sociale”.

Ma anche da questo punto di vista gli innumerevoli  approfondimenti storiografici  in particolare degli studiosi a noi più vicini – Giuseppe Monsagrati, Michele Finelli, Roberto Balzani, Marco Severini, Maurizio Viroli etc. – ci mostrano come Mazzini non partecipasse direttamente e non “forzasse” con la sua presenza ed il suo influsso il lavoro costituente e la preparazione  del documento finale varato il  1° e 3 luglio 1849,  quando oramai la sconfitta della Repubblica era militarmente definitiva.

Un documento certo di importanza storica nei suoi complessivi 78 articoli (compresi i principi fondamentali)  e che, proprio nel paragrafo terzo di questi ultimi – “la Repubblica con le leggi e con le istituzioni  promuove il miglioramento delle condizioni morali e materiali di tutti i cittadini” – ha  prefigurato e mirabilmente ispirato  in maniera diretta il capo 2 dell’ articolo 3 della nostra Carta Costituzionale.

Un articolo per noi di valore fondamentale nella definizione dei compiti sociali ed emancipatori dello Stato e della Repubblica.

Per Mazzini il vero e finale obiettivo non era certo una  Costituente ed Costituzione per Roma bensì una Costituente ed una Costituzione per l’ Italia indipendente, libera, unita e repubblicana.

Egli cercò, piuttosto, di essere concretamente attento alla guida operativa del movimento, innanzitutto per favorire la massima coesione di intenti in una partecipazione  vasta e variegata dove non mancavano certo accenti ed intonazioni diverse e dove la generosità degli apporti   – pensiamo solo a quello  delle donne mazziniane – fu una connotazione primaria tanto nella attività sociale come nella difesa successiva della città.

Attento, come abbiamo già detto,   agli aspetti determinanti di relazione con il contesto internazionale, alle realizzazioni ed agli interventi in campo economico – sociale –  pensiamo solo al fatto che Gregorio XVI aveva lasciato pressoché vuote le casse dello Stato, uno stato nel quale “32 mila preti e religiosi … da soli si dividevano 85 milioni di scudi, mentre ai rimanenti 2 milioni e 700 mila laici dello Stato Pontificio, rei solo di non portare la tonaca, restava solo un reddito di 31 milioni di scudi”.

Mazzini dovette curare  i determinanti aspetti di difesa militare della Repubblica, condividendo più o meno con le scelte operative del Roselli, con Garibaldi e –   pur nello sproporzionato rapporto di forze che avrebbe comunque destinato la Repubblica a soccombere militarmente –  forse commettendo anche alcuni errori, di strategia militare.

E d’altra parte noi ben sappiamo che unitarietà di intenti ma insieme anche forte distinzione strategica rimasero, anche nel decennio e nel ventennio seguenti, nel rapporto tra Mazzini e Garibaldi proprio sulla ancora irrisolta “questione romana”, finche dopo la stessa Unità, realizzata sotto la monarchia.

E  sarà da qui, dalle amare sconfitte garibaldine a Mentana, dai nuovi martiri dei falliti nuovi tentativi insurrezionali in Roma  – pensiamo a Giuditta Tavani Arquati – dalla delusione profonda di Mazzini per una soluzione unitaria che tradì il suo Risorgimento – che si aprirà per l’ Italia ma anche per tutto il movimento democratico e per il  “partito di azione” una fase nuova.

Anche la storia, del nostro glorioso Lucifero, comincerà da lì: dalla delusione dei reduci garibaldini, dalla volontà di contrasto e di impegno politico e sociale di personaggi come Domenico Barilari, fondatore ed “animatore” della storica testata anconitana fino agli inizi del ‘900.

Ed inizierà da lì, dal “patto di Fratellanza”, la storia dell’ impegno sociale della intransigenza mazziniana e del movimento repubblicano per il quale “protezione ed emancipazione sociale” e “rinnovamento istituzionale” rimarranno, fino ai nostri giorni, permanentemente inscindibili.