DOVE VA LA POLITICA?

Il bisogno del ritorno della Politica con la P maiuscola

– di Antonio Foccillo

Il tramonto delle ideologie, il crollo del comunismo, la finanziarizzazione dell’economia e la globalizzazione hanno destabilizzato le certezze su cui si fondava l’Occidente. La vecchia cultura democratica e liberale è rimasta come unico riferimento a disposizione della classe politica, tuttavia non è mai stata recepita in toto e con la vittoria del neo liberismo si è prodotto in tempi brevi una regressione sociale e politica, irreversibile, che ha messo in discussione finanche i principi fondamentali della democrazia come stabiliti nella nostra Carta Costituzionale.

Certamente il Novecento è stato un secolo che nel suo decorso storico ha conosciuto la nascita e lo sviluppo di sistemi democratico-rappresentativi, compiendo una tappa fondamentale nell’evoluzione del pensiero politico in genere.

Negli ultimi vent’anni, però, la realtà socio-politica è diventata estremamente fluida, con enormi costi sociali, ne è derivato un indebolimento del vincolo sociale; la diminuzione della fiducia; la diffusione dell’alienazione e dell’insicurezza con la conseguenza che il cittadino non si identifica più in questo tipo di società riscontrando la rottura di un patto sociale fondamento delle precedenti socialdemocrazie europee.

E’ evidente il rovesciamento del compromesso socialdemocratico della convergenza tra crescita e riduzione delle disuguaglianze tra paesi, tra gruppi sociali, tra cittadini e cittadini, poiché le disuguaglianze, non solo permangono, ma tendono ad allargarsi.

Tutto ciò ha creato una frattura tra andamento dell’economia e i processi politico economico-sociali, che ha prodotto la concentrazione della ricchezza, l’aumento delle aree di povertà, l’emarginazione e, nello stesso tempo, un incremento delle attività contrarie all’utilità sociale ed una perdita di competitività dell’economia produttiva.

Oggi stiamo vivendo quella che McLuhan (1) chiama “la narcosi di narciso” cioè l’uomo narcisista che cerca di ottimizzare sempre di più le sue prestazioni fisiche e psichiche con l’obiettivo di migliorarsi ma che, ad un certo punto, diventa narcotizzato da questo stesso continuo avvicendamento di tecnologie che servono sia alla dimensione fisica che a quella psichica. McLuhan ad un certo punto dice “agire senza reagire è uno dei tratti caratterizzanti dell’uomo contemporaneo”.

Agire senza reagire significa cioè essere assuefatti ad un tale bombardamento di informazioni, di notizie, di emozioni che ci vengono dalle fonti più svariate, spesso finte, che ci portano il mondo a casa e quindi ci costringono a filtrare ovviamente tutta questa valanga emotiva che ci sommergerebbe non reagendo più.

In questa fase si sta delineando una crisi di tutte le forme associative dai partiti al sindacato. Quest’ultimo per tutelare tutti i lavoratori colpiti dalla crisi, distribuire la ricchezza prodotta, favorire sviluppo ed occupazione, nonostante le difficoltà esistenti, deve battersi per il perseguimento di un nuovo modello di società basato su nuovi assetti economici e sociali, nuove relazioni industriali ed un nuovo assetto istituzionale politico.

Siccome ciò non è compito esclusivo del Sindacato, bisogna impegnare la politica ed i partiti, per quanto di loro competenza a contribuire a questa rinascita dell’Italia. Purtroppo non è facile perché aumenta la mancanza di credibilità della nostra classe politica, anche se fondata sulla diffusa avversione che oggi sta riscuotendo, ma soprattutto la mancanza di capacità di decidere per il bene comune rappresenta in realtà il preambolo per l’avvio anche nel nostro Paese del fenomeno del populismo esasperato.

Tutto questo è accentuato dall’assenza nella nostra classe politica di originalità di pensiero e di elaborazione di progetti sociali adatti al nostro Paese e ciò non ha dato altro che la stura ad una profonda mancanza di senso civico, che ha aperto e continua ad aprire la strada a tentativi di esautoramento degli stessi meccanismi di funzionamento della nostra democrazia parlamentare.

In questa situazione i partiti si stanno liquefando e frammentando, forse perche sono presi da un malessere e da una sorta di impotenza nel risolvere realmente i problemi del Paese. E’ avvenuto prima nel centro destra con passaggi ad altri schieramenti, addirittura in qualche caso alternativi, e poi nel Pd. Quello che sta avvenendo in questi giorni nel Partito Democratico è sintomatico di una crisi di progettazione della politica ed appare più uno scontro di potere. Eppure i partiti, seppure in crisi di legittimità, sono strumenti indispensabili per la partecipazione dei cittadini allo svolgimento della vita politica. Certo è che i Partiti nel corso dei decenni hanno cessato di essere strumenti nelle mani dei cittadini e sono divenuti sempre più centri di interesse, ancorché legittimi, e luoghi di gestione del potere reale totalmente avulsi dalle dinamiche e dalle logiche democratiche. In tal modo i Partiti Politici non hanno più rappresentato i luoghi di partecipazione diretta e di esercizio della democrazia perché sono stati percepiti come forze di occupazione dei luoghi del decidere, infezioni degli spazi democratici.

La politica tradizionale non è stata capace di dare una risposta concreta alle disfunzioni e alle inefficienze della nostra macchina istituzionale e politica, e soprattutto alla sfiducia drammatica dei cittadini nei confronti del sistema. Ne deriva la poca fiducia nei partiti e nel parlamento, il che mette in discussione la democrazia di una Repubblica che non funziona.

La voglia di cambiamento emersa nelle varie ultime tornate elettorali, in aggiunta alla sempre più ampia riduzione dei votanti, non implica una diversa forma di democrazia, bensì ripropone la necessità di rilanciare il ruolo dei partiti affrontando la questione morale e l’indebolimento della politica rispetto all’economia.

Innanzitutto bisogna decidere se si ritiene di rafforzare le istituzioni indebolendo il ruolo dei partiti, come è nelle democrazie maggioritarie dove le leadership sono fortemente personalizzate e investite direttamente dal popolo, oppure rafforzare i partiti come unica difesa dello stato sociale, poiché essendo venute meno le premesse del compromesso socialdemocratico, per continuare a garantire un livello di adeguato di servizi e prestazioni pubbliche, deve intervenire la politica, e cioè i partiti. Ciò impone la fine della strategia del maggioritario, delle primarie, della personalizzazione dei leader perché indeboliscono i partiti, mentre l’idea di un partito società, dotato di una forte cultura politica va nella direzione opposta. Oltretutto il bipolarismo, così com’è stato attuato in Italia, genera una paralisi istituzionale, mentre un sistema di partiti più articolato consentirebbe una rete di mediazioni che oggi non sono possibili.

Bisogna rivedere come fare selezione delle classi dirigenti perché non si può più usare il criterio dei pacchetti di voti e le primarie scardinano il partito come organizzazione e accrescono il ruolo dei finanziatori esterni. Bisogna ripristinare metodi basati sulle capacità politiche dimostrate sul campo. Occorrono programmi diversi, più ampi e complessi da discutere; occorre far vivere una concezione della “coesistenza” fra esperienze di pari dignità, che ancora stenta ad essere accettata; occorre guardare con occhi attenti al rinnovamento della politica, senza mostrare pericolose indifferenze; occorre ritrovare un rapporto con i giovani.

In questo sforzo di cambiamento il sindacato non può stare alla finestra, deve partecipare, perché non sono indifferenti le scelte politiche ed economiche che vengono fatte dai partiti, dai governi e dal Parlamento con la funzione che svolge.

Il sindacato deve proporre nuovi modelli economici e sociali, per avviare uno sviluppo economico diverso, non più solo mercantile, considerando le modalità di un lavoro a valenza sociale complessiva. Bisogna uscire da una logica difensiva, riproporre come centrale il problema del sociale e ripartire all’attacco anche con obiettivi intermedi, ma ben definiti e caratterizzati. Un nuovo modello di crescita economica, un forte progetto di rinnovamento che riaccenda le speranze sopite con una seria e corretta politica sociale non più basata sull’assistenzialismo e le spese improduttive, ma un percorso verso un progetto di una reale democrazia economica del sociale e del lavoro può ancora realizzarsi.

Questo lo può fare se la politica si muove di conseguenza. Ecco perché non può stare fuori dal dibattito politico e deve chiedere ai partiti un cambiamento profondo che recuperi i valori, rilanci la proposta per ricostruire in questo Paese di nuovo solidarietà, coesione e certezze. Essi devono riprendere la strategia per riprecisare i contenuti di una società più giusta e più equa, dove si salvaguardi la persona e i diritti di cittadinanza in tutti i suoi aspetti: dal diritto al lavoro, alla vita; dalla sicurezza sociale e personale; dal ripristino del potere di acquisto ad un fisco che recuperi la sua funzione di ridistribuzione della ricchezza e della solidarietà.

Infine il miglioramento della qualità dei partiti incide positivamente sulla democrazia, sui concetti di libertà e sulla partecipazione politica.

Benjamin Constant (2) nel Settecento aveva mostrato le differenze tra la concezione della democrazia antica e moderna e la difficoltà di applicare alla realtà del suo tempo idee proprie dei popoli antichi. Il concetto di democrazia è intimamente connesso con quello della libertà e nella riflessione di Constant si delineano due concetti addirittura antitetici di libertà, che per gli antichi, risiedeva nella diretta partecipazione politica e per i moderni nell’indipendenza privata. Ne deriva che i primi trascuravano i diritti e le libertà personali mentre i secondi trascurano proprio i diritti e le garanzie assicurate dalla partecipazione politica quale partecipazione diretta dei cittadini alla politica nelle pubbliche assemblee, resa possibile dalla limitata estensione degli stati antichi, come quelli greci o della Roma repubblicana.

Noi riteniamo che lo strumento dell’esercizio della democrazia debba essere funzionale al rinnovamento della politica che deve assumersi – dopo aver esaurito l’orgia distruttiva in atto – il compito di risanare il Paese dal punto di vista etico e assumendo pienamente le proprie responsabilità pubbliche per divenire protagonista della trasformazione del Paese aumentando la partecipazione e non riducendola come si è fatto fino ad oggi.

La democrazia, fornendo a tutti l’opportunità di partecipare attivamente alla vita politica, promuove, più di ogni altro sistema politico, l’autonomia personale, il senso critico e tutte le qualità personali migliori. In ultima analisi, come diceva J.S.Mill (3) , anche gli interessi personali sono meglio tutelati in un ordinamento democratico, dato che gli individui hanno la forza e gli strumenti per proteggerli direttamente.

Le regole classiche della democrazia, che esigono il dialogo, la consultazione, l’accordo anche con le minoranze, il riconoscimento e la tutela effettiva dei diritti umani, che spettano a ogni essere umano, indipendentemente dalla nazionalità e dalla cittadinanza, l’allineamento alle libertà storiche delle democrazie, cioè ai diritti civili e politici, dei sopravvenuti diritti sociali e dei sopravvenienti diritti culturali possono giovare a cercare una risultante pacifica e ordinata a quel parallelogramma di forze altrimenti distruttive che sono l’identità e l’alterità, specie se interpretate nello schema dello scontro tra civiltà.

Per questo il sindacato deve battersi perché la classe politica riconquisti la sua autorità e la società civile ne condivida, con una diffusa partecipazione, la prospettiva e la progettualità.

Il Sindacato, in questo frangente, ha ancora una volta l’opportunità di contribuire a dare prospettive positive alla società, finalizzando la sua partecipazione a sostegno di politiche economiche e sociali utili ad appianare gli squilibri e ridurre la povertà, ma soprattutto come ha fatto nell’ottocento deve facilitare il dibattito delle forze politiche per la costruzione di una nuova realtà partitica, più vicina ai suoi valori. Principi, questi, del tutto opposti alla moderna barbarie iperliberista che impoverisce i poveri e arricchisce i ricchi.