CREDITO COOPERATIVO E DEMOCRAZIA ECONOMICA

Necessaria una gestione virtuosa – di Rosario Altieri

– Da ormai molti anni il sistema del credito italiano sta navigando su una linea di galleggiamento che non induce a prospettive rassicuranti per gli investitori che operano nel settore, per le imprese costrette a farvi ricorso, per le famiglie interessate a custodire con serenità i risparmi via via meno rilevanti che riescono ad accumulare attraverso forme di deposito che assicurano una sempre minore redditività a fronte di rischi crescenti.

È vero, e lo abbiamo detto molte altre volte, che la crisi finanziaria che ha colpito l’economia dell’intero Occidente a partire dal 2008, ha avuto origine nei colossi anglosassoni e ha, successivamente, coinvolto le banche di numerosi altri Paesi.

Ma è anche vero che sarebbe sbagliato non approfondire le cause per le quali il sistema del credito italiano manifesta, rispetto a molti altri, una vulnerabilità ed una instabilità a dir poco preoccupanti.

Fanno ancora parte della cronaca finanziaria attuale le vicende dei quattro Istituti sui quali la Banca Centrale è stata costretta ad intervenire pesantemente (Banca Etruria, Banca Marche, CaRi Chieti e CaRi Ferrara).

Sono numerose le banche italiane che presentano fondamentali non propriamente rassicuranti ed è altrettanto significativo il numero di quelle costrette a continue ricapitalizzazioni, che vengono effettuate con sempre maggiori difficoltà, per non parlare delle condizioni prossime al fallimento di una realtà antica e prestigiosa come il Monte dei Paschi di Siena, fallimento che può essere evitato solo a seguito di un robusto investimento del Governo centrale attraverso una ingente immissione di capitale pubblico.

Ricordo tutto ciò, in primo luogo, al fine di porre a quanti sono deputati all’esercizio del controllo sulla correttezza delle operazioni e sul rispetto da parte di tutti gli istituti di credito delle norme di buona amministrazione e di salvaguardia dei risparmi della gente, una domanda che aspetta una risposta chiara ed inequivocabile: tenuto conto delle gravi conseguenze che l’operato degli amministratori e quello degli organismi di vigilanza pur con tutte le loro insufficienze, errori e distrazioni, ha sulla clientela, ci dobbiamo chiedere come, quando ed in quale misura si intende intervenire per avviare azioni di responsabilità nei loro confronti?

Non sono rari i casi, già in passato verificatisi, in cui il management, dalla cui attività sono derivati veri e propri disastri finanziari, in qualche circostanza anche con addebito di responsabilità penali, è stato poi premiato con trattamenti di fine rapporto particolarmente consistenti, per usare un eufemismo, ed altri lauti benefit.

Un maggiore rigore nelle valutazioni delle prestazioni professionali ed un più accurato esercizio del controllo sull’operato di questi alti manager sarebbe auspicabile al fine di determinare un più coerente rapporto tra la qualità del lavoro, i risultati conseguiti ed i trattamenti economici e normativi incamerati.

Vi è, però, un altro aspetto che a me preme evidenziare ed esso riguarda una affermazione che con sempre maggiore ricorrenza occupa le pagine dell’economia: la ricerca di dimensioni sempre più consistenti anche per le banche, affermando che solo i grandi istituti di credito possono garantire risparmiatori ed investitori. Se ciò fosse, non dovremmo assistere al fenomeno Monte dei Paschi, non avremmo dovuto registrare il fallimento delle predette quattro banche e non dovremmo neppure temere per lo stato di salute di altri gruppi che non possono certamente essere considerati piccoli.

Non è mio intento affermare che “piccolo è bello” e che occorre auspicare un fenomeno di parcellizzazione delle banche italiane.

Voglio soltanto dire che la dimensione non può essere la discriminante per stabilire quali siano gli Istituti che danno maggiori garanzie e quelli che tali garanzie non danno. La discriminante risiede, viceversa, nella gestione virtuosa che sia i grandi sia i piccoli devono saper praticare.

D’altro canto, il contenimento dei rischi per le banche più piccole viene assicurato dalla loro limitata operatività, sulla quale credo che la Banca d’Italia attui un controllo rigoroso.

Proviamo soltanto per un attimo ad immaginare l’improvvisa scomparsa dal panorama del sistema creditizio del nostro Paese delle Banche di Credito Cooperativo e proviamo a misurare quali potrebbero essere gli effetti di ciò sui piccoli risparmiatori, sull’economia del territorio sul quale ognuna di esse insiste e sui vantaggi che la loro presenza reca.

Avremmo come risultato un territorio più povero, una economia meno garantita, un accesso al credito meno agevole.

Nel 2016 il Governo ha emanato un decreto, convertito poi in legge dal Parlamento, con cui si è inteso procedere alla riforma del credito cooperativo, seguendo criteri che probabilmente non contribuiscono al superamento dei problemi per la cui soluzione il provvedimento stesso è stato promosso.

Il nuovo assetto del credito cooperativo prevede, infatti, la costituzione di gruppi ai quali sono richiesti requisiti tali da avere, sino ad ora, consentito la costituzione di uno solo di essi.

Si è così determinata una sorta di monopolio. È stata anche predisposta una via di uscita per chi si fosse rifiutato di essere inglobato nel gruppo unico, ma per poter utilizzare questa “way out” è stata prevista la rinuncia alla forma cooperativa: non mi pare, questa, una scelta rispettosa dell’articolo 45 della Costituzione, che sancisce l’impegno dello Stato a promuovere e tutelare la Cooperazione e non ad ostacolarla.

Il gruppo unico, tra l’altro, potrebbe determinare un ruolo egemone da parte di poche BCC più strutturate rispetto alle tante oggettivamente più piccole, ma non per questo meno performanti.

Per queste ragioni ed anche perché si possa pervenire ad un maggior livello di democrazia nel credito cooperativo, sono particolarmente favorevole alla creazione di un secondo gruppo, che possa rappresentare quella presenza plurale che eviti tentazioni egemoniche certamente oggi non presenti in nessuno degli attori coinvolti, ma che potrebbero sempre insorgere in ogni momento.

L’Italia ha bisogno di più democrazia, anche e soprattutto nell’economia e nella finanza.