Lorenzo Lesti, “minore” del Risorgimento ma gigante della storia patria – di Sergio Sparapani

Lorenzo Lesti Patriota, il suo tempo e la processura “anconitana di più delitti” di Nicola Sbano – Il Lavoro Editoriale, Ancona, 2016

– A ben guardare Garibaldi appare decisamente più affascinante di Che Guevara mentre Cavour regge tranquillamente il confronto con un Kissinger. Il re, Vittorio Emanuele II, poi, con quel carattere un po’ buzzurro, le sue tresche amorose e il suo eroismo d’antan, dovrebbe essere protagonista di più di un polpettone televisivo. Per non parlare di Mazzini, severo, austero, profetico, intransigente fino all’autolesionismo, altro che Lincoln…Peccato che non ci sia uno Spielberg da queste parti in grado di evocarlo degnamente.

Ho sempre pensato che i padri della Patria meritassero più di quanto hanno raccolto, e non mi riferisco solamente all’eredità che hanno lasciato, agli stenti di un belpaese che vorremmo più dignitoso, piuttosto al versante “pop” della vicenda risorgimentale, al cinema, alla musica popolare, all’immaginario collettivo. Si vede che quell’epopea, davvero straordinaria, è fin troppo vittima della retorica, dei monumenti, dei soffocanti studi scolastici affidati a insegnanti assai poco empatici nei confronti di questi giganti della Storia, oltre che delle secolari vulgate ideologiche, cattoliche, fasciste, antifasciste, anti-antifasciste e dei mille veti incrociati apparsi nel corso degli ultimi centocinquanta anni.

A conforto della mia tesi arriva ora questo volume dedicato a un personaggio indubbiamente minore del Risorgimento: Lorenzo Lesti, patriota, il suo tempo e la processura “anconitana di più delitti” (Il lavoro editoriale, 2017). Accade che il biografo del Lesti, l’avvocato Nicola Sbano, decano del foro di Ancona, lamenti nell’introduzione che oltre ai grandi patrioti già citati, <meriterebbero grandi film – gli americani ne avrebbero fatti cento!> – anche i vari Pisacane, Orsini, Cernuschi, Bandiera… E, viene da dire, dopo aver letto l’imponente studio di Sbano, se i minori sono del calibro di Lesti figurarsi gli altri, i giganti appunto!

Di questo patriota, nato ad Agugliano nel 1802 ma trasferitosi giovanissimo nella Dorica, ad Ancona si sapeva poco o niente. E non si parla ovviamente di “grande pubblico” ma dei nostri studiosi risorgimentali locali, assai avari di notizie sul Lesti quando del tutto ignoranti in materia. Ora il debito è saldato, lungo trecentottanta pagine zeppe di note bibliografiche, e dedicate a questo repubblicano intransigente, uno dei pochi rimasto fedele fino all’ultimo a Mazzini, un vero rivoluzionario protagonista del tentativo di secessione detto delle Province unite (1831), poi guerrigliero sulle montagne di Ascoli e del teramano, nelle vesti di adepto della strategia rivoluzionaria mazziniana. Non basta. Lesti partecipa al tentativo di invasione della Savoia per provocare una rivoluzione contro il Regno di Sardegna (1834), poi è costretto all’esilio a Parigi, dove resterà per tredici anni, mentre a Roma viene condannato al carcere a vita dalla Sacra Consulta. A seguito di una domanda d’indulto può quindi rientrare ad Ancona dove aveva lasciato la moglie Maria e i figli, giovanissimi, con una indole stavolta meno politicamente attiva e irrequieta del consueto fino a quando, nel 1849, si affaccia l’ipotesi di uno Stato senza Papa. L’antico sangue repubblicano non può restare indifferente a questo nuovo clima e il patriota si getta di nuovo nella mischia nel contesto drammatico e anarcoide successivo alla Repubblica romana (e anconetana). Uno scenario, questo, di dispute feroci provenienti dalle proprie file e le accuse altrettanto pesanti del potere costituito al punto che l’Osservatore romano lo indica quale capo della lega sanguinaria, che, nella fase repubblicana, aveva seminato ad Ancona una scia di sangue tra omicidi e ferimenti. Segue la condanna e il carcere vittima di calunnia da parte di un personaggio misterioso (e chissà se mai qualcuno riuscirà a scovare quelle carte – ammesso che esistano – che ne rivelino l’identità), che lo stesso Lesti qualifica come l’iniquo, nemico implacabile che lo accusò di crimini mai commessi.