VERSO LE ELEZIONI EUROPEE 2024: UNA SFIDA EPOCALE PER IL NOSTRO FUTURO

di Luca Visentini Già Segretario Generale Confederazione Europea dei Sindacati, Sindacalista UIL, esperto di politiche economiche e sociali

– Tra un anno da oggi, più o meno in questo periodo, si staranno concludendo le trattative per la formazione della nuova Commissione Europea, a seguito delle elezioni europee che si terranno dal 6 al 9 giugno del 2024.
È molto probabile che l’attuale Presidente, la tedesca Ursula von der Leyen, correrà per un secondo mandato, ma gli equilibri politici della futura maggioranza parlamentare sono ancora incerti.
Già nel 2019 lo scontro tra le forze europeiste e quelle populiste aveva dominato la campagna elettorale, portando al rafforzamento di quel “cordone sanitario” che avrebbe escluso le ali estreme dell’arco parlamentare dal governo dell’Unione per dare vita alla “grande coalizione” che avrebbe retto la Commissione von der Leyen per l’intera legislatura.
Oggi, soprattutto dopo le emergenze della pandemia e dell’invasione dell’Ucraina, lo scontro con i populisti si è acuito ancor di più, e per certi versi ha subito una mutazione e radicalizzazione, con il progressivo indebolimento dell’estrema sinistra, e viceversa il rafforzamento e la crescita di vecchie e nuove forze di estrema destra in molti paesi europei.
Forze che, pur non abbandonando la propria originaria spinta populista e antisistema, hanno però dovuto fare i conti con le inevitabili responsabilità che derivano dall’azione di governo, dal momento che sono arrivate al potere, non solo in paesi come la Polonia o l’Ungheria, ma anche nella vecchia Europa, vedasi i casi dell’Italia, dell’Austria, dei Paesi Scandinavi, e di molte amministrazioni locali di Germania, Spagna, Paesi Baltici.
Questo potrebbe portare ad un affievolirsi della spinta propulsiva della destra estrema in termini elettorali, come nel caso delle recenti elezioni  spagnole, con probabili conseguenze sul risultato della consultazione europea dell’anno prossimo.
È ancora presto per dirlo, ma i sondaggi danno i due maggiori partiti, popolari-conservatori e socialdemocratici, sostanzialmente stabili, e le destre estreme in crescita, ma con minore impulso rispetto ad alcuni mesi fa e prevalentemente ai danni dei liberali-macronisti (il terzo partner della “grande coalizione”) e dei verdi (per certi versi sorprendentemente, vista la crisi climatica che stiamo attraversando).
Si tratterebbe in ogni caso di poche decine di seggi di differenza, il che renderebbe la conferma dell’attuale coalizione parlamentare (e della Presidente della Commissione) pressoché inevitabile, anche considerando che le forze di destra estrema nel Parlamento Europeo sono divise e spesso in contrapposizione fra loro.
Se confermata, questa sarebbe una buona notizia, tuttavia il rischio che la futura maggioranza e governo europei siano più deboli degli attuali è molto alto, per almeno tre fattori.
Il primo è che la composizione della Commissione Europea (a causa dell’attuale collocazione politica dei 27 governi/parlamenti dell’Unione che ne indicano un membro ciascuno) risulterebbe ad oggi fortemente spostata a destra, con i partiti della coalizione che vedrebbero fortemente assottigliarsi la loro rappresentanza nel collegio dei Commissari, e con un conseguente rischio di paralisi nell’azione di governo
e di conflittualità con la maggioranza parlamentare.
Il secondo è che il tedesco Manfred Weber, leader del Partito Popolare Europeo, maggiore forza conservatrice moderata che ad oggi esprime le Presidenti di Parlamento e Commissione, è stato ultimamente spesso tentato da possibili alleanze con l’estrema destra, mentre il gruppo liberale/macronista, solitamente elemento di equilibrio tra conservatori e progressisti che ha consentito l’approvazione di importanti riforme, vive una stagione di crisi dovuta alla situazione francese e alla scomparsa di molti governi liberali dallo scacchiere europeo.
Infine, terzo e forse principale fattore di debolezza della futura coalizione è che su molti temi importanti, che caratterizzeranno l’agenda politica della futura Commissione, le posizioni dei potenziali partners di governo si vanno divaricando sempre di più.
Il rischio è pertanto che in futuro l’Unione non sia in grado di affrontare le terribili sfide che l’Europa e il mondo  hanno di fronte, arretrando in termini di ruolo internazionale e mettendo fine alla importante stagione di riforme che le Commissioni Junker e von der
Leyen avevano saputo guidare, dopo il decennio buio delle Commissioni Barroso.
Non è probabilmente il caso della guerra in Ucraina, dove l’Europa è stata un attore importante nel sostegno a Kiev, e questo è un ruolo che è destinato a rafforzarsi, soprattutto nella prospettiva dell’adesione dell’Ucraina all’Unione.
Rimane tuttavia incerto se l’UE saprà essere sufficientemente attiva nel favorire il processo di pace, nel gestire la ricostruzione senza consegnare l’Ucraina alle potenze extraeuropee e alle multinazionali, e se saprà imporre al governo ucraino condizioni stringenti
per l’ingresso nell’UE, in particolare nei campi della lotta alla corruzione, dell’imparzialità del sistema giudiziario, della tutela dei diritti umani sociali e del lavoro, campi in cui l’Ucraina non ha sin qui dimostrato di essere un campione di democrazia.
Ancora più incerte rimangono le prospettive di una forte azione dell’Unione sullo scenario internazionale, in particolare nei rapporti con Africa, America Latina e Asia Centrale, che dovrebbero al contrario essere terreno privilegiato di una politica estera e di  cooperazione allo sviluppo comuni.
Al contrario, a causa di divisioni e nazionalismi, l’UE ha realizzato sin qui iniziative poco incisive, lasciando campo libero ai singoli Paesi Membri, che conducono politiche guidate esclusivamente dal proprio interesse nazionale e spesso confliggenti tra loro.
Lo dimostra una volta di più lo sgangherato accordo con il governo autocratico della Tunisia sui flussi migratori e la cooperazione economica ed energetica, che non solo non produrrà risultato alcuno, ma porterà molto probabilmente disastri simili a quelli a cui abbiamo assistito come conseguenza degli accordi con il ras della Turchia Erdogan.
Proprio sul tema drammatico delle migrazioni si misura forse il più bruciante fallimento dell’azione comunitaria degli ultimi anni, che purtroppo è destinato a perdurare: le divisioni tra paesi e gli egoismi nazionali hanno reso impossibile una strategia comune per la cooperazione, l’accoglienza e l’integrazione, lasciando intatta una tragedia che fa strame dei diritti umani e alimenta razzismo e populismo dettati dalla paura.
È viceversa su un altro versante, quello del trinomio economia – ambiente – modello sociale, che l’Unione Europea ha saputo nell’ultimo decennio adottare scelte ambiziose e lungimiranti: ed è qui che il rischio di fallimento incombe maggiormente, a causa delle crescenti
divisioni tra le forze politiche di maggioranza, che nella presente legislatura avevano invece saputo compensare con la loro unità le fratture tra paesi e tra governi.
Sul piano economico, i due straordinari programmi di investimento pubblico Next Generation EU e Re-Power EU, con cui l’Unione Europea ha reagito alle conseguenze della pandemia e della guerra, hanno garantito anni di ripresa economica, una seppur timida riduzione delle diseguaglianze e uno stop alle sconsiderate politiche di austerità del passato.
Si è anche, finalmente, iniziato a disegnare un sistema di regole economiche e di bilancio più aperte e flessibili, un primo embrione di politiche industriali europee, una possibile riforma delle regole sulla concorrenza volta a tutelare le imprese e il lavoro del nostro
continente.
Tutto questo era stato possibile grazie appunto all’unità di Commissione e Parlamento, che avevano saputo avere la meglio sugli egoismi nazionali e sulla contrapposizione tra governi “falchi” e “colombe”.
Le enormi difficoltà e lo stallo nella discussione sulle proposte di riforma del  Patto di Stabilità fanno capire chiaramente che tutti questi grandi cambiamenti sono a rischio e che è vicino il  ritorno dell’austerità “stupida” (come l’ha definita giustamente Romani Prodi).
Lo stesso pericolo di stallo e arretramento si corre riguardo al Green Deal e agli ambiziosi obiettivi di tutela dell’ambiente e del territorio che questo programma aveva fissato. Tentativi di affossamento già attraversano alcune forze di maggioranza, il PPE per primo, e l’incapacità di governare le conseguenze economiche, occupazionali e sociali della transizione climatica (nonostante le ingenti risorse pubbliche stanziate dall’UE), dimostra che senza una visione strategica e un’azione comunitaria unitaria e forte, la sfida ambientale non saremo mai capaci di vincerla.
E se l’economia arretra e l’ambiente esplode, come abbiamo drammaticamente toccato con mano in questa lunga estate calda, i primi a pagarne le conseguenze saranno i lavoratori, i pensionati e le persone più deboli della nostra società.
Con il Pilastro Europeo dei Diritti Sociali, gli obiettivi per la sua implementazione, le decine di iniziative legislative messe in campo in ambito sociale negli ultimi anni (a partire dal salario minimo, la tutela dei lavoratori mobili e precari, la promozione della parità di genere sul posto di lavoro, la difesa di salute e sicurezza dei lavoratori, solo per citarne alcune), l’UE aveva avviato, dopo anni di neoliberismo selvaggio, una nuova stagione di ricostruzione del modello sociale europeo, basata sulla giustizia sociale, sulla lotta alle diseguaglianze e sulla tutela dei diritti e della qualità della vita delle persone.
Anche questa grande stagione di riforme rischia di interrompersi, se la futura Commissione Europea e le forze politiche nel Parlamento Europeo non sapranno rivitalizzare l’ambizione e la determinazione che hanno dimostrato durante la presente legislatura, facendole prevalere su calcoli politici ed egoismi nazionali e dimostrando di essere una classe dirigente autenticamente europea.
Nel mezzo delle difficoltà che l’Europa e il mondo devono affrontare, continuare a progredire o sprofondare nel baratro dipenderà moltissimo, forse più che mai in passato, dall’esito delle prossime elezioni europee e dalla responsabilità che chi sarà eletto saprà
dimostrare.
Ma dipenderà anche da tutti noi, dalla nostra capacità di seguire ed alimentare questo dibattito durante la campagna elettorale, evitando che venga assorbito e vanificato dalle piccolezze nazionali.
Solo se comprenderemo e sapremo comunicare l’urgenza dei problemi dell’Europa tutta e l’importanza di trovare soluzioni ambiziose e comuni, sopravviverà la speranza di fare la cosa giusta e di farla per tempo.