Terrorismo e immigrazione: una riflessione di Lucifero

Ambedue i contributi e le testimonianze, di Giulio Lattanzi e di Beppe Grossi – che  ringraziamo per l’interesse e l’impegno con i quali stanno partecipando al rilancio del Lucifero – richiamano l’attenzione su due temi cruciali, immigrazione e terrorismo, che rappresentano, oramai con frequenza giornaliera, la drammatica ed emergenziale attualità dell’ Italia e dell’ Europa.

Gli amici lo fanno con giudizi e proposte sui quali il “Lucifero” intende rimanere nel ruolo di libera ed aperta tribuna di confronto. Analisi comunque  condivisibili  in particolare nel richiamo ad una dimensione sovranazionale più idonea alla gestione dei processi migratori e nella esigenza di individuare forme e strumenti più convincenti e ben diversamente efficaci per la  lotta al dramma ed al rischio di terrorismo anche nel nostro Paese.

Come tutti possono verificare è in atto un quotidiano confronto su questi temi, agitati dall’ acutezza della crisi in atto e dalle sue conseguenze per tutta l’Europa e, per quanto riguarda in particolare, i flussi migratori per un Paese di “prima frontiera” come l’ Italia.

Non vogliamo, comunque,  sottrarci al dibattito e dunque traiamo spunto dalle considerazioni di Giulio e di Beppe per formulare anche noi, in maniera qui necessariamente sintetica, alcuni iniziali e generali schemi di ragionamento.

Innanzitutto pensiamo che sia assolutamente necessario  che chi aspiri a parlare in nome di una cultura repubblicana e mazziniana dimostri la capacità di elevarsi (e gli amici in questione lo fanno) rispetto al livello di dibattito in atto tra le maggiori forze politiche tutte (o quasi) condizionate nel proprio orientamento da “interessi elettoralistici e di bottega”.

Questo non può essere, naturalmente,  il nostro approccio che deve, piuttosto, far riferimento alle nostre radicate convinzioni nei valori di solidarietà, di umanità, di inclusione e di “religiosità”  laica ma nel contempo anche  riaffermare il netto rifiuto alla rinuncia dei raggiunti livelli di progresso, di civile convivenza, di democrazia e di sicurezza. 

La necessità di scelte politiche concrete da parte di chi “governa” ci impone poi di constatare , qui in piena sintonia con Giulio e Beppe, la insufficienza delle strategie messe sin qui in atto dai governi  e di esprimere la convinzione che una soluzione vera a queste problematiche (solo in parte emergenziali ma oramai anche “strutturali”) possa essere trovata solo in una dimensione sovranazionale e soprattutto europea.

Solo da un grande sforzo di cooperazione a livello internazionale –  di cui però non vediamo ancora la luce e di cui l’ area più civilizzata  e nello stesso tempo “colpita”, ovvero l’ Europa, dovrebbe farsi univocamente portatrice – potranno originare soluzioni reali ai processi in atto che rischiano di avere effetti destabilizzanti per le stesse conquiste di democrazia.

Un impegno, in verità,  di portata immane e che imporrebbe  il ripensamento stesso dei modi con i quali si sono andati consolidando da almeno 30 – 40 anni processi ed assetti nelle grandi aree su scala planetaria, con legame diretto  sui rapporti tra le stesse e che avrebbe dovuto, in particolare dopo il secondo conflitto mondiale ed un ‘900 di guerre, devastazioni e persecuzioni, aprire a ben diversi e consolidati equilibri tra sviluppo e sottosviluppo, tra livelli di civiltà, tra culture e religioni, tra aree di influenza,  all’ insegna della pace, dell’indipendenza, della coesione, della tolleranza e dell’inclusione. 

In particolare per quanto riguarda il legame tra ideologia- fondamentalismi religiosi – lotta per il potere- terrorismo rinviamo tutti ad un “antica” lettura di un saggio che a nostro avviso contiene, ancora oggi, una delle più acute analisi sviluppate da un illustre esponente della cultura laica, Alberto Ronchey, proprio sull’origine di processi che poi hanno avuto fino ai nostri giorni gli sviluppi tragici che conosciamo: ”Atlante Ideologico” – Garzanti Editore – 1973.

Vi si possono cogliere la sequela di errori politici e diplomatici e soprattutto l’origine vera  di squilibri, in primis demografici,  che si sono man mano accentuati e che hanno portato, peraltro ora con una qualità in molti casi profondamente diversa, al rapporto oggi micidiale ed insostenibile che si è andato instaurando tra “l’ input” dei dati socio-economici e dello sviluppo della domanda di indipendenza dei popoli e “l’output” delle idee religiose e politiche che si sono radicate in profondità mettendo a rischio conquiste irrinunciabili di civiltà e di progresso.

In particolare sul tema della gestione dei processi migratori vogliamo  rafforzare le preoccupazioni comprensibili che traspaiono dall’ analisi di Giulio Lattanzi.

Detto delle nostre comuni convinzioni di fondo non possiamo, infatti,  chiudere gli occhi di fronte alla obbiettiva insufficienza della gestione da parte dei pubblici poteri. I nostri governanti, pur chiamati ad un impegno straordinariamente imponente,   hanno il dovere di mettere in atto misure di ben diversa portata se si vuole evitare che anche nel nostro Paese si alimentino a dismisura ondate xenofobe o assurdi richiami e ritorni all’ autarchia.

Dobbiamo ispirarci alle migliori pratiche soprattutto nella gestione dell’ accoglienza. Va rivisitato in profondità il modello già adottato quello della “accoglienza diffusa” soprattutto quando esso  comporta, come è assurdamente avvenuto, la stabilizzazione e gestione  di 1500 immigrati in un centro di accoglienza sito in un comune di 600 abitanti!

Vanno prontamente adottati e  rigorosamente gestiti protocolli e procedure certi di identificazione della clandestinità, di individuazione di profughi e di quanti hanno diritto all’ asilo politico, snidando a monte i possibili ingressi di potenziali terroristi. Vanno gestiti con opportune mappature, intese ed accordi sia i processi di rimpatrio e di espulsione sia quelli di distribuzione in altri paesi per quanti avevano scelto di stabilizzarsi in aree diverse dell’ Europa. Vanno rivisti tutto il funzionamento e la qualità dei centri di accoglienza superando le tragiche emergenze attuali e rigettando un modello e pratiche che oltre alla dispersione  di grandi fondi pubblici finiscono per giustificare trattamenti in taluni casi disumani, alimentare speculazioni insopportabili sulla pelle di un’ umanità sofferente.  Vanno attuate misure “formative” e “organizzative” che favoriscano a tutti i livelli i processi di reale integrazione, con beneficio non solo della pacifica convivenza e della sicurezza dei cittadini ma anche del benessere economico generale in molti territori. Va meditata in profondità la proposta di provvedere ad intese bilaterali per la localizzazione già sulle coste africane di centri di prima accoglienza e lì gestire le necessarie verifiche soprattutto identificative. I prossimi grandi appuntamenti europei ed internazionali debbono costituire l’occasione e la sede per dibattere questa problematica  ed adottare scelte nuove e condivise.

Il tema dell’immigrazione, specie quando si tratta di fenomeni di massa, è talmente delicato per gli effetti che produce sulla vita dei cittadini che non è possibile affrontarlo con un approccio di buonismo esasperato né, nello stesso tempo, azzardare “sperimentazioni” improvvisate di società multiculturali.

Tutto ciò detto non possiamo non riflettere sul carattere “strutturale” dei processi in atto e sulla loro dimensione. A questo proposito valga  ricordare non solo che sono ben 720 milioni gli attuali abitanti dell’ Africa sub-sahariana ma anche che  fino a ieri il superamento di vecchi steccati, di vecchie ed inadeguate ideologie (quella marxista in primis),  di spinte imperialiste hanno consentito l’apertura ad una economia di progressivo “benessere” di aree fondamentali ed altamente popolate del globo, come in primis la Cina e l’ India, eliminando il rischio di insostenibili tensioni nello scacchiere mondiale.

Ma, soprattutto in futuro,  non sarà però altrettanto agevole individuare equilibri fondati sulla molla di uno sviluppo economico altrettanto forte e soprattutto diffuso.

Oggi, infatti, vengono progressivamente  messi in crisi, dagli stessi processi di globalizzazione e di innovazione, dall’ indebitamento pubblico,  i livelli di benessere e di sicurezza di larga parte dei ceti medi del nostro e di tutti i paesi democratici ed occidentali. Ecco una delle ragioni profonde che sono alla base di reazioni di chiusura all’ accoglienza ed alla convivenza che sempre più diffusamente si registrano nella stessa  popolazione del  nostro Paese. Queste dinamiche profonde non possono da noi essere troppo semplicemente tacciate di “populismo”, bensì corrispondono alla volontà, da noi condivisa, di non rinunciare ai livelli di progresso e di democrazia raggiunti.

Evitare che il tutto si trasformi ora in una lotta cruenta tra “ultimi” e “penultimi”, a vantaggio solo delle posizioni di potere, di speculazione, di ricchezza e di rendita significherà probabilmente dover mettere mano all’ attuale modello di sviluppo ed è, comunque,  il  primario compito delle classi dirigenti ma anche di quanti intendono contribuire alla consapevolezza civile e laica dei cittadini. 

Il Lucifero